- Da diva a casalinga depressa. La metamorfosi
- La parola ai professionisti della comunicazione
Dopo oltre un mese dallo scandalo di quello che è stato rinominato “pandoro gate”, sono ancora aperti i dibattiti – molti sui social – sugli scivoloni di comunicazione di Chiara Ferragni e del suo staff che evidentemente non hanno valutato attentamente i rischi di messaggi poco chiari abbinati alla beneficenza.
Un parere autorevole è espresso da Giuseppe Alfonso Cirri, professionista in Valenza della comunicazione e delle relazioni pubbliche d’impresa, responsabile FERPI per la provincia di Alessandria. E’ tra i più titolati a parlare sull’argomento, ricordando l’importanza di comunicare nel modo corretto, a qualsiasi livello. Il danno d’immagine, soprattutto nell’era dei messaggi istantanei – come si è visto – è sempre dietro l’angolo.
Il caso mediatico che si è rovinosamente abbattuto sulla influencer più seguita e pagata d’Italia ha generato un fervente dibattito tra i comunicatori appartenenti a FERPI, la federazione che riunisce i professionisti della comunicazione d’impresa a livello nazionale.
Dibattito che ha evidenziato sin da subito improvvisazione e incompetenza nel gestire una crisi molto delicata, come delicata ed estremamente pericolosa è una ogni crisi che nasce dallo smascheramento di attività non trasparenti e con un sottostante che contrasta con quanto divulgato all’opinione pubblica.Partendo dagli amati pandori con prezzo del 150% maggiorato in virtù della finalità benefica, sin da subito è saltata agli occhi degli esperti una attività di comunicazione che ha confuso pretestuosamente charity e marketing. Se vogliamo attualizzare, un greenwashing applicato a pratiche commerciali nude e crude.
Questi i presupposti di una “tempesta perfetta” che, come ben chiaro ai professionisti della comunicazione, non ha tardato ad abbattersi sulla candida e strapagata influencer. Tsunami che ha preso sempre più forza in ragione dei numerosi sbagli che si sono rovinosamente susseguiti.Il caso di studio
Anzitutto, questa vicenda può rientrare a pieno titolo tra le “case history” che verranno raccontate nei corsi universitari quando si parla di Crisis Management. Ambito della cultura d’impresa che diviene veramente strategico quando in gioco c’è il valore immateriale più importante, la reputazione. Un approccio sbagliato, tardivo o gestito con azioni percepite come artificiose può rivelarsi come un amplificatore della crisi che ha innescato il problema aprendo un baratro da cui è difficile risalire. E così è stato.
Ecco, allora, che questo peggiorativo ha condotto la bella Chiara al siparietto delle scuse. Non sono bastati il maglioncino di cachemire, i capelli disordinati e lo sguardo piagnucolante per convincere l’opinione pubblica. Così dicasi anche per la tardiva donazione di un milione di euro. Una valanga che si è caricata sempre più in ragione della palese pretestuosità di quanto maldestramente cercato di far passare come genuino.
In questa incapace gestione del prima e del dopo, possono essere individuate almeno tre aree in cui si sono compiuti i fatali errori che hanno fatto naufragare l’intera operazione.Gli errori di Chiara
Il primo. Madrina di più iniziative di solidarietà (..in tempo Covid le terapie intensive, ad esempio..) e paladina di altri temi sensibili avanzati sui social, la Ferragni ha utilizzato queste tematiche estremamente importanti ed impattanti per creare la sua “veste reputazionale”. Cosa nobile che, però, può divenire un abito molto stretto se quelle finalità da dama di carità si scoprono essere solo una mera attività di marketing utilizzata per fare business. Un Greenwashing adattato alla figura professionale della blasonata influencer.
Bellezza e nobiltà d’animo, what else!
Il secondo. Non aver compreso che il Moloch da combattere non era la sanzione ma, bensì, l’aver utilizzato e strumentalizzato a fini commerciali quelle attività di beneficenza e solidarietà che la facevano apparire come la paladina dei più deboli. Questa sarebbe stata l’argomentazione per gestire una smentita che venisse percepita come credibile e realmente sentita. Uno dei punti di forza di una crisi gestita con tempestività e professionalità è la possibilità di aumentare la propria credibilità, proprio in ragione della trasparenza con cui la si è gestita. Ecco l’opportunità che una crisi può offrire. Aumentare fiducia e reputazione in ragione di comportamenti percepiti come genuini e leali.
Il terzo. Aver tremendamente sottovalutato la portata della crisi. Non vedendo il pericolo reputazionale che si profilava all’orizzonte, utilizzando comunicazioni e concetti che sono l’antitesi di una gestione professionale di una crisi potenzialmente devastante.
Su questo punto viene da chiedersi chi siano stati i consulenti di Chiara Ferragni, sedicenti esperti di comunicazione che l’hanno con forza spinta giù dal dirupo reputazionale.
Insomma, una gestione incompetente in ogni fase, partendo dal difendere la tesi dell’errore smentita dopo pochi giorni dall’inchiesta sulle uova di Pasqua.
Certamente un errore c’è stato. Credere che dietro all’industria Ferragni ci fossero solo nobili finalità e non fatturati milionari da concretizzare.Giuseppe Alfonso Cirri – Responsabile FERPI provincia di Alessandria
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