Leggo che il termine ” vagina” sarebbe espressione di un linguaggio non inclusivo, che non tiene conto di come ‘le persone transessuali non si identifichino con le etichette che la comunità medica attribuisce ai loro genitali’.
Ecco il guaio del ” politicamente corretto”, per sensibilizzare questioni di assoluta importanza si arriva ad imbrigliare il linguaggio, a banalizzarlo, ad appiattirlo con suggerimenti freddi, asettici, esteticamente brutti, musicalmente inascoltabili. Perché “buco anteriore”suggerito al posto del termine proibito è la tomba della sensualità e della anatomia.
Un processo di censura che mira a colpire il lessico, la sua ricchezza ma anche a sbarrare le sale museali a chi decide di ammirare i capolavori di quei sessisti beceri di Schiele o Balthus. Al centro di simili scempi c’è questo equivoco tutto occidentale,tutto perbenista che il museo debba essere , esclusivamente, un luogo di educazione ai valori civici, morali e sociali quando invece le opere custodite non fanno altro che insidiarli, quei valori .
Ad esempio, ” la Venere di Urbino” dipinta da quel vecchio porco di Tiziano su commissione di quell’altro depravato di Guidobaldo della Rovere.
Il pittore prese a modello la vergine dormiente di Giorgione, la piazzò in un ambiente domestico di grande intimità, la svegliò dal torpore facendola guardare vogliosa dritto negli occhi dello spettatore e rese piuttosto biricchina la mano che di solito copre il “buco anteriore ” delle veneri dipinte.
Il punto è: davvero il museo è una specie di scuola dove la carica dirompente dell’arte è disinnescata?
E dai, si abbia il coraggio di mostrare che la grande arte ha ben poco di pedagogico, di moralistico.
E dai, si abbia la forza di dire chiaramente che spesso i grandi maestri sono amorali, fondamentalmente stronzi, diseducativi.
Magari e chissà qualche museo inizierà a riempirsi meglio di un bordello.
Enrica Gardiol
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