Quando nel 1950 fu inventato dal fisico italiano Federico Faggioni invento il primo microchip della storia nessuno si sarebbe probabilmente immaginato avrebbe scatenata una guerra tra le grandi potenze per la supremazia tecnologica.
Oggi i microprocessori sono il cervello di un sistema fatto di computer, server, telefonini, automobili fotocamere frigoriferi, il cuore del 5G dell’intelligenza artificiale Un valore fondamentale per qualunque aspetto della modernità è un settore che secondo Bloomberg vale all’incirca 500 miliardi di dollari. Cosa accadrebbe se ad un certo punto la produzione cominciasse a scarseggiare?
Questo è quello che sta succedendo da poco più di un anno. La circolazione del virus ha rallentato la produzione di tutte le aziende ostacolato le forniture ma anche modificato i consumi. Molte delle attività produttive si sono trasferite tra le mura domestiche ed e quindi esplosa la domanda di prodotti elettronici : computer più sofisticati, smartphone più performanti, televisioni con più pollici.
L’industria di microchip, abituata a programmare la produzione nel breve periodo, si e trovata a dover scegliere a quale settore dare la priorità. Siccome la tecnologia di consumo era più profittevole si sono dirottati qui la maggior parte delle forniture a scapito di altri comparti tra cui quello dell’ automobile. La stessa Apple è stata costretta a riprogrammare la produzione di iPad e MacBook per non compromettere la produzione del nuovo iPhone
Ma i veri problemi sono quelli che ha registrato il settore dell’auto. Senza microchip la digitale di un’auto non può essere completata. Tutti i colossi dell’automotive da Mercedes a Toyota Stellantis, GM hanno subito pesanti contraccolpi dalla carenza di Microchip e sono stati costretti a ridurre la produzione. Non si tratta di una crisi passeggera. La stessa Intel, gigante del microchip, ha previsto che la mancanza di componenti potrebbe protrarsi almeno per altri due anni. Non è un problema legato solo alla pandemia ma ad una vera e propria guerra per la supremazia tecnologica fra Stati Uniti e Cina.
I micro circuiti fanno muovere gli eserciti, l’attività di difesa sicurezza e l’industria aereospaziale. Le aziende americane sono presenti al 30% della produzione mondiale di chip ma solo 19 di queste hanno effettivamente sede negli Stati Uniti. in Cina invece hanno sede le aziende da cui proviene il 26% della produzione di Microchip La Cina ha inoltre intensificato anche la conquista di aziende ricche di know how. Il caso più recente è stato il tentativo di un fondo cinese di acquistare il 70% di Italian LP, azienda italiana produttrice di reattori destinati ai semi conduttori.
L’Unione Europea ha destinato 145 miliardi di euro progetti digitali; un quinto del fondo per la ripresa economica della pandemia e sta esaminando l’ipotesi di costruire una fabbrica per produrre semi conduttori. Sono buone intenzioni che però non potrebbero bastare senza una politica comune rivolta alla tutela della sovranità digitale.
Ogni paese sta muovendo infatti in modo autonomo sul piano nazionale. La creazione di una fabbrica di microchip richiede 12, 18 mesi e investimenti per centinaia di milioni di euro. Per questo motivo il settore dell’Automotive ha cambiato strategia e tende a stipulare con i fornitori di circuiti contratti lungo termine per non rimanere senza scorte
C’è anche chi a reagito tornando al passato. La Peugeot per la nuova 308 ha scelto la strumentazione analogica in sostituzione di quella digitale e i microchip sono stati dirottati verso la produzione di altri modelli.
Una sorta di pausa che non può essere che necessariamente temporanea considerato che rappresenta la componente elettronica infatti oggi rappresenta il 40% del valore di un’auto e la concorrenza del futuro si giocherà a colpi di microchip.
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