
Il 31 maggio, nel quartiere Europa, ci siamo ritrovati a commentare con toni critici i prossimi referendum dell’8 e 9 giugno 2025. Il dibattito è partito da un manifesto che invita a votare “Sì” ai quattro quesiti promossi dalla CGIL, che mirano all’abrogazione di alcune norme del Jobs Act e del decreto Poletti, colpevoli – secondo i promotori – di aver introdotto forme di lavoro precario e facilitato i licenziamenti. Un quinto quesito, sostenuto da altre realtà, riguarda invece il cosiddetto “ius scholae”: la possibilità di acquisire la cittadinanza italiana dopo cinque anni di permanenza nel Paese per gli stranieri che abbiano frequentato almeno un ciclo scolastico in Italia.
Durante l’incontro, sono stati aspramente criticati i promotori dei referendum, accusati di essere gli stessi soggetti politici e sindacali che in passato hanno sostenuto – o quantomeno non ostacolato – quelle stesse leggi oggi oggetto di contestazione. Ci si chiede perché non le abbiano abrogate quando erano al governo, ricordando anche il ruolo passivo della CGIL durante la pandemia, un periodo in cui vennero legittimati licenziamenti, sospensioni e forme di discriminazione legate al green pass.
Secondo i presenti, l’attuale campagna referendaria sarebbe in realtà un’operazione di riciclaggio politico, volta a conquistare il consenso dei giovani, presentati come ignari delle tutele lavorative perse nel tempo. Le critiche si sono poi concentrate sull’impostazione del materiale promozionale legato al quinto quesito, accusato di voler rappresentare un’Italia futura che, secondo alcuni, andrebbe incontro a uno stravolgimento identitario e sociale.
Si denuncia inoltre il pericolo che una cittadinanza concessa in modo accelerato possa aprire la strada a una catena di ricongiungimenti familiari, il cui numero andrebbe a gravare ulteriormente sul già fragile sistema di welfare. Una popolazione crescente di migranti, è stato detto, potrebbe inoltre alimentare dinamiche salariali peggiorative.
Infine, sono state sollevate anche questioni di carattere culturale e religioso, facendo riferimento a pratiche come l’infibulazione, ancora diffuse in alcuni Paesi, o al fatto che in India lo stupro coniugale non sia considerato reato. Si è fatto notare il paradosso tra i valori progressisti sbandierati – ad esempio in occasione della recente manifestazione del Gay Pride – e le culture di provenienza di molte delle persone che si vorrebbero includere.
Il dialogo si è concluso con un invito alla riflessione, affinché ogni cittadino possa valutare con attenzione il significato e le conseguenze del proprio voto.
Vanni CENETTA
Commenta per primo