Non c’è mai stata l’intenzione di impugnare la clausola per rientrare in possesso dell’area in cui sorgerà il nuovo centro islamico con parcheggio annesso, il piano era un altro. Le battaglie politiche dai banchi di Palazzo Rosso di questi giorni appaiono grottesche, dal momento che molti attori dell’epoca sono sempre lì, magari a parti invertite. Ma non c’è stata trasparenza nel parlare a quegli alessandrini contrari o dubbiosi.
Era il 2011
Il contratto di concessione del diritto di superficie, di quella superficie, è datato in prima scrittura anno 2011, quattro sindaci fa. Nell’atto il Comune e il legale rappresentante della parrocchia ortodossa romena di piazzetta Bini, padre Mihai Oancea, stipulavano l’accordo iniziale, ora sotto accusa i riflettori. La concessione del diritto di superficie, si legge nel documento, era vincolato dall’obbligo di ultimare i lavori entro e non oltre tre anni dal conseguimento del titolo. E in caso di inadempienza? Siamo sempre nel 2011, ricordiamocelo: qualora l’intervento edilizio non venisse portato a termine il Comune, previa diffida 180 giorni prima, “potrà dichiarare risolta la concessione e l’immobile tornerà in piena proprietà, senza oneri o indennizzi di sorta”.
Tale diritto venne poi ceduto alla Comunità dei Mussulmani di Alessandria, il cui legale rappresentante era – al momento del passaggio – Abderrahman Hamdani, presidente della onlus.
Il costo era sempre quello: 32 mila 800 euro per 1.980 mq di un’area per “attrezzature di interesse comune”, considerato oggi, solo oggi, un regalo. Prima era Ok il prezzo è giusto?
Quattro sindaci fa
E’ sempre stata dunque facoltà di Palazzo Rosso richiedere indietro il terreno, se i lavori non fossero stati ultimati nei tempi pattuiti. Ma nessun sindaco, nessuna giunta a colori alterni si è mai opposta, preferendo sperare che prima o poi qualcuno iniziasse i lavori. La delibera di Giunta (Cuttica) del 2018 lo sottolinea: non si può parlare di inadempienza ma di impossibilità a compiere, dal momento che la parrocchia ortodossa aveva comunicato di essere senza fondi. Una opera di fede – in tutti i casi – dal momento che questa indisponibilità economica, come scritto, è solo presunta.
Con questa formula il Comune manda avanti il progetto e precisa di non avere interesse a rientrare in possesso del bene, né ha i soldi per riacquistarlo (ma per inadempienza non l’avrebbe riacquisito gratis?) e anche se li avesse trovati si sarebbe sprecato denaro pubblico inutilmente. La scelta definitiva: “E’ evidente e chiara la convenienza e l’interesse a favorire il subentro tra la chiesa moldava e l’associazione mussulmana”. Amen.
Parole, parole…
Pare chiaro quindi che in tutti i modi si è voluta favorire la cessione del terreno, fin qui niente di male. Ma che ne facciamo delle promesse elettorali di chi aveva fatto intendere al Comitato No Moschea e ai firmatari (quasi duemila) di avere una chanche per fermare tutto, invece di dire: ragazzi, metteteci una pietra sopra, è dal 2010 (un anno prima dell’atto notarile) che tentiamo di sbolognare quel terreno, lasciate perdere!?
Promesse disattese e poca chiarezza, insomma, per non scontentare un potenziale bacino di voti al quartiere Europista.
Trasloco e migliorie
Un ultimo aspetto: l’associazione islamica motiva il trasloco da Via Verona – sede della moschea – per cercare di risolvere i problemi di viabilità e assembramenti, impegnandosi a trasformare a proprie spese i locali in nuove abitazioni o comunque in usi compatibili con la destinazione di zona. Un doppio intervento, quindi, costruzione in via san Giovanni Bosco e trasformazione in via Veron. Passaggio da tenere presente, visto che in questi anni la vigilanza pubblica non è stata molto attenta a far mantenere i patti. ∎
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