In una piccola area verde dei giardini della stazione di Alessandria, a pochi passi da quello che un tempo era il laghetto dei cigni, si trova una scultura in granito oggi quasi dimenticata, immersa nel silenzio e nell’ombra di maestosi Celtis Australis.
L’opera, realizzata dallo scultore Michele Benedetto nel 1988, nacque in occasione di un simposio internazionale tenutosi proprio in quel luogo. Per venti giorni, artisti italiani e stranieri scolpirono all’aperto, sotto gli occhi dei passanti, offrendo alla città un’esperienza unica: vedere nascere l’arte in tempo reale, nel cuore dello spazio pubblico.
Il contributo di Benedetto a questo progetto è un blocco compatto di granito, lavorato con la tecnica della bocciardatura, che prevede l’uso di scalpelli dentati con punte di diverse dimensioni. Il risultato è una superficie materica, graffiata, vibrante, che accentua l’espressività della forma.
La scultura presenta una forma astratta e geometrica, riconducibile al linguaggio del costruttivismo novecentesco, movimento che ha avuto autorevoli esponenti in Italia e all’estero. L’opera si configura come un parallelepipedo scavato in modo asimmetrico su due lati, creando un interessante gioco di contrasti e tensioni tra pieni e vuoti, tra rigore e movimento.
Nonostante la semplicità apparente, l’opera esprime con forza il linguaggio del nostro tempo: un equilibrio tra geometria ed essenzialità, tra ordine e sensibilità plastica.
Michele Benedetto, noto per la sua ricerca costruttivista e per l’attenzione allo spazio urbano, ha spesso proposto interventi di scultura ambientale e arredo urbano in diverse città, in Italia e all’estero. Questa scultura alessandrina ne è un esempio concreto, oggi però bisognoso di nuova attenzione.
È tempo di riscoprire e valorizzare quest’opera, non solo come testimonianza di un’iniziativa culturale importante del passato, ma anche come parte di un patrimonio artistico che merita cura, manutenzione e visibilità. Un piccolo gesto di attenzione restituirebbe dignità a un angolo della città e a un’opera che ha ancora molto da raccontare.
Nives LEVEQUE



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