Alessandria – Sabato 19 luglio, ai Giardini Pubblici della Stazione, destinati a diventare una delle nuove “zone rosse” cittadine.
Ci si sofferma a osservare la realtà che ci circonda e se ne deduce che il provvedimento,
dell’allontanamento immediato di individui ritenuti pericolosi o con precedenti penali, solleva più interrogativi che certezze.
A colpire è l’impressione diffusa di una misura che interviene sui sintomi senza curare la malattia. Il foglio di via, infatti, appare più come uno strumento di spostamento del disagio che una vera soluzione. Si ha l’impressione che il problema venga solo dirottato da una zona all’altra, aggravando una tensione già palpabile nel tessuto urbano di Alessandria.
Tra i giardini, la presenza numerosa di persone straniere stimola riflessioni sulla gestione migratoria degli ultimi anni: da dove arrivano, in che modo vivono, chi ha finanziato il fenomeno e quali scelte politiche ne hanno favorito l’insediamento? Il malcontento si mescola alla sfiducia, e la zona rossa diventa simbolo di un intervento tardivo su un’emergenza sociale ormai radicata.
La sensazione è quella di un tentativo vano, come voler “svuotare il mare con un secchiello”, mentre dietro si intravede un sistema più grande, con responsabilità distribuite nel tempo e tra più attori. Le istituzioni si trovano così a gestire una crisi con strumenti d’urgenza, spesso percepiti come inefficaci o controproducenti.
Alessandria è stanca. Cresce la richiesta di risposte concrete, strutturali, capaci di affrontare il disagio sociale alla radice. Il rischio, altrimenti, è che le zone rosse finiscano per alimentare il fuoco, anziché contenerlo.
Vanni Cenetta


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