Al “parco giochi inclusivo” dei Giardini Pubblici di Alessandria, inaugurato grazie ai fondi del Lions Club International, si respira un’aria che sa di abbandono e contraddizione. Dovevano essere spazi di aggregazione per bambini e famiglie, ma lo scenario reale è ben diverso: panchine spesso occupate da adulti e giovani di diversa origine etnica multiculturale che stazionano e bivaccano, mentre i più piccoli restano assenti, preferendo la comodità di casa e la distrazione del digitale.
Un contrasto amaro, quello tra il parco e la sua missione inclusiva: se da una parte troviamo strutture adatte anche a bambini con disabilità, dall’altra emergono chiari segni di incuria e la presenza di frequentatori che nulla hanno a che fare con i piccoli fruitori per cui queste giostre sono state pensate.
La comunità alessandrina voleva riprendersi questo spazio pubblico con un’idea di riqualificazione, eppure il risultato è sotto gli occhi di tutti: una terra di nessuno, dove l’insicurezza – reale o percepita – sembra dettare legge, e dove l’attrattiva per i giovani è ridotta a un mero slogan.
Dov’è finito il sogno di riappropriarsi dei giardini come luogo di incontro e socializzazione?
La tecnologia, con il suo portatelefono installato come simbolo di una connessione onnipresente, sembra quasi sbeffeggiare il concetto stesso di gioco all’aria aperta: oggi i ragazzi, se escono, si rifugiano nello schermo, lontani da un parco ormai invaso da degrado e scarse opportunità di svago.
Mentre si continua a investire in nuove strutture “inclusivamente sostenibili”, i giardini rimangono orfani dei loro destinatari originari, e il sospetto che tali iniziative siano solo paraventi di buone intenzioni si fa sempre più forte.
Vanni CENETTA
Commenta per primo