Mascherine per far dimenticare i veleni?

Dura presa di posizione del comitato

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In questi ultimi mesi la pandemia causata dal virus SARS-CoV2 ha posto la nostra società di fronte a molteplici crisi.

Una delle tante difficoltà a cui si è dovuto trovare rimedio molto rapidamente è stato l’approvvigionamento di mascherine, DPI necessario a tutti gli operatori sanitari ed ai cittadini per poter svolgere le proprie attività quotidiane proteggendo sé stessi e gli altri.
Come da prassi, ogni volta che un bene diventa improvvisamente essenziale la domanda tende a superare l’offerta, a maggior ragione dal momento che, non esistendo una filiera italiana, si è ricorsi all’importazione dall’estero di tali dispositivi.

In questo contesto, a fine aprile, Solvay ha rilasciato un comunicato in cui annunciava di essersi posta come capofila di una prima filiera nazionale ed europea per la produzione di mascherine. L’innovazione proposta dall’azienda consiste nell’applicare una nuova membrana filtrante di PTFE espanso (polimero di tetrafluoroetilene) – noto con il nome di brevetto Algoflon – in grado di porsi come alternativa efficace a ciò che già normalmente viene prodotto. Solvay dichiara, inoltre, che in questo modo sarà possibile aumentare la produzione di mascherine contro il Covid19.

Il PTFE ha assunto diversi nomi ma la sua struttura ed il suo processo di sintesi sono sempre gli stessi. Per ottenere questo polimero è necessario l’utilizzo di un surfattante specifico e difficilmente sostituibile: il perfluorooctanoato d’ammonio (APFO o C8), sale del più noto acido perfluoroottanoico o PFOA. Oggi questa funzione viene svolta dal cC6O4.

La decisione di porsi come capofila nella produzione di una filiera italiana di mascherine utilizzando PTFE espanso appare, quindi, dettata piuttosto che da un’improvvisa attenzione alle necessità di una popolazione nel difendersi dal Covid19, dall’infame tentativo di ricostruirsi un nuovo volto filantropico: una precisa strategia di crisis managment, un’azione mirata a risollevare la reputazione dell’azienda e a far sì che venga percepita dall’opinione pubblica come attenta ai cittadini e indispensabile per l’intera nazione. Dietro a questa ipocrisia l’obiettivo sembra essere quello di avere un’altra carta in mano per fare pressioni alla Conferenza dei Servizi sull’ampliamento della produzione di cC6O4.

Non vogliamo cedere a questa nuova forma di ricatto in cui la necessità di un nuovo bisogno primario viene biecamente sfruttata per gli interessi economici di un singolo polo industriale condannando a morte una parte di quella collettività.

Davvero dovremmo celebrare come salvatrice della patria un’azienda che ha condannato gli abitanti della nostra provincia ad essere più esposti a determinate patologie e, di conseguenza, ad essere potenzialmente più vulnerabili nel caso di infezione da Covid19?

Esigiamo che la Provincia assolva il suo compito fondamentale di “rappresentare la propria comunità e curarne gli interessi” (T.U. 267/2000) alla prossima Conferenza dei Servizi. Dal momento che la tutela del territorio e della salute sono due interessi primari ed imprescindibili di una comunità, la Provincia non deve approvare l’ampliamento della produzione di cC6O4.

Comitato Stop Solvay